STAFFETTA QUOTIDIANA – Il Brent della discordia

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Visioni opposte del mercato tra speculazione e fondamentali

Prezzi Internazionali

Cosa determina il prezzo del petrolio e dei prodotti petroliferi? E’ guidato dell’incontro tra domanda e offerta o dalla speculazione finanziaria sui circuiti elettronici internazionali? Durante la VII edizione di Shipping and the Law, la conferenza mondiale degli armatori organizzata dallo Studio Lauro a Napoli, due visioni opposte sulle dinamiche del mercato del petrolio si sono confrontate, approfondendo un tema che ha grandi ricadute sull’industria petrolifera, su quella marittima e, non da ultimo, un forte impatto sull’attività delle diplomazie di tutto il mondo.

Schierato a favore di una visione tradizionale, cioè di un mercato petrolifero dettato dai fondamentali e quindi influenzabile dalle decisioni dell’Opec, Leo Drollas, economista del Center for Global Energy Studies, l’ufficio studi fondato nel 1990 dal famoso ministro del petrolio saudita Zaki Yamani. A fare da controaltare, Salvatore Carollo, che per tanti anni ha lavorato nelle sale operative londinesi di Eni e dal giugno 2013 collabora con la Staffetta con le sue riflessioni controcorrente (v. Staffetta 01/06/13). Secondo Carollo, infatti il prezzo del petrolio, in particolare quello del Brent che funge da riferimento per l’85% delle transazioni mondiali fisiche di petrolio, dipende ormai da un giro di scommesse del tutto svincolato dai fondamentali di mercato, su cui quindi l’Opec non può avere alcuna influenza (a meno che non decida di ripudiarlo pubblicamente).

Il punto di vista di Drollas è chiaro ed è tutto sommato la visione imperante: l’Arabia Saudita ha iniziato nel 2014 una guerra al ribasso sui prezzi del petrolio, per mettere in ginocchio l’emergente industria dello shale oil, cosa che è riuscita al punto che adesso l’Opec ha annunciato l’intenzione di intervenire per far risalire i prezzi, con il supporto della Russia. Sono molti ora gli elementi da tenere d’occhio: la definizione delle quote per ciascun paese a Vienna il prossimo 20 novembre, quando l’Opec terrà la Conferenza ordinaria di fine anno, perché “il diavolo è nei dettagli”; l’alto livello delle scorte mondiali (“un elefante in cristalleria”); il deterioramento delle finanze dei paesi del Golfo, che ha spinto questi ultimi a indebitarsi ricorrendo a corpose emissioni obbligazionarie; la resilienza dell’industria Usa dello shale oil (il breakeven dei principali giacimenti di greggio non convenzionale in Usa si è dimezzato dal 2014 al 2016). In definitiva, il prezzo del petrolio non andrà troppo lontano dalla soglia dei 50 dollari nei prossimi anni, a meno che non scoppi qualche altro grave conflitto in Medio Oriente o l’Opec non assuma drastiche decisioni sulla produzione petrolifera.

Questa tesi non è condivisa da Carollo. Dopo aver esposto i suoi argomenti, secondo i quali il prezzo del Brent si forma con meccanismi simili a quelli inventati per lo scambio delle figurine Panini (v. Staffetta 13/12/13), si è soffermato a fare alcune considerazioni sugli effetti di questo meccanismo sia sul fronte geopolitico, che su quello industriale. Se il prezzo del Brent è del tutto scollegato dai fondamentali, è chiaro che tutti gli incontri Opec, così come quelli più allargati tra i paesi Opec e non, sono solo una girandola mediatica, messa in piedi per alimentare e indirizzare la speculazione sul Brent, che è cavalcata senza scrupoli dagli stessi Paesi che dichiarano di volere la stabilità del marcato. Come dimostra l’ultima maxi emissione obbligazionaria saudita, ormai i Paesi produttori si sono evoluti e sanno ben utilizzare a proprio vantaggio tutti gli strumenti che l’alta finanza mette a disposizione per guadagnare denaro, tanto che screditare il meccanismo delle “figure Panini” non conviene più neanche a loro, perché sono i primi a trarne benefici.

Le uniche a far le spese di questo meccanismo sono le raffinerie, che acquistano il petrolio a un prezzo di fantasia (quello appunto finanziario del Brent più o meno un determinato differenziale), per rivendere benzina, gasolio e olio combustibile al prezzo che deriva dai fondamentali di mercato, così come rilevato dal Platts. Questa anomalia del mercato starebbe rivoluzionando le rotte del petrolio e avrebbe favorito il tonfo dei noli. C’è il rischio che altre raffinerie in Europa vengano messe all’angolo da questo meccanismo inceppato, che si somma a regole internazionali sugli impianti e sulle lavorazioni sempre più severe che richiedono investimenti cospicui per limitare l’impatto ambientale (come quella appena approvata che anticipa al 2020 l’ulteriore riduzione del tenore di zolfo per il bunker). Se altre raffinerie europee dovessero chiudere i battenti, il vecchio continente non avrebbe più la possibilità di rifornire gli Usa di circa un milione di barili al giorno di benzina, come attualmente fa. E allora sì che si potrebbe aprire una vera e propria guerra commerciale, questa volta al rialzo, non sul petrolio ma sulla benzina.

© Riproduzione riservata

di A.P.

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